Gentile signore, Egregi signori, Amiche e amici,
il 1° agosto, Festa Nazionale, una cosa seria, un giorno serio. Ricevuto l’invito e garantita la mia presenza mi son chiesto preoccupato: adesso saranno cavoli amari… come farò ad abbozzare un discorso pertinente per un’occasione così importante e particolare, degno di un minimo di attenzione, rispettoso di tutte le cittadine e cittadini presenti, senza mettere a dura prova la loro pazienza?
Dopo attenta riflessione ecco spuntare qualche idea: perché non rievocare per esempio qualche fatto storico. Non so, una battaglia importante o qualcosa legato alla nostra costituzione?
No, non credo che dal sottoscritto sia cosa pertinente, non ne ho la stoffa e tantomeno il profilo adatto, non sono innanzitutto un politico e neppure uno storico…
Devo però ammettere che sono un fiero operaio, una salariato, un cittadino comune, padre di famiglia, preoccupato per il futuro dei figli, dei giovani, come lo sono la maggior parte delle persone di questo Paese.
Ecco allora farsi avanti delle idee sempre più chiare e pertinenti al mio modo d’essere e di pensare ed è per questo che considerando il 1° di agosto un giorno importante, come del resto lo sono tutti i giorni dell’anno, ecco che spunta il forte desiderio di volervi brevemente parlare di questioni che ci coinvolgono, che non possono assolutamente lasciarci indifferenti, mosso se non altro anche dal senso di responsabilità che dovremmo avere per il futuro di questa società, soprattutto dei giovani per i quali dovremmo essere da esempio, trasmettitori di valori, di sicurezze; messaggeri di giustizia e amore verso il prossimo.
Non parlo di tolleranza, ma piuttosto di considerare l’altro non un “diverso”, ma qualcuno di esistente, un essere umano né più né meno come lo dovrebbero essere indistintamente tutti gli uomini di questo pianeta.
E’ incontrovertibile il fatto che, per chi l’ha vissuta, l’esperienza della lotta del “Popolo delle Officine”, ha segnato profondamente il proprio modo d’essere. Ha contribuito certamente a sovvertire lo sconfortante stato d’animo che ci erodeva inesorabilmente da parecchio tempo; cioè dagli anni in cui le offensive padronali si son fatte sempre più cruenti, ed hanno minato, senza trovare particolari resistenze, le condizioni di lavoro e smantellato, senza sosta, numerosissimi impieghi assieme ad altrettanti sacrosanti diritti dei salariati e delle salariate.
In nome dell’efficienza, della competitività, della concorrenzialità e del mercato, i lavoratori e le lavoratrici si sono (e lo sono tuttora) trovati nel bel mezzo di un campo di competizione, e come tutti sappiamo in ogni competizione ci sono vincitori e vinti e quest’ultimi, purtroppo, sempre più numerosi.
Non dovevamo forse lavorare meno per lavorare tutti? Il lavoro non è una ricchezza che va ridistribuita in modo equo? Probabilmente sono dei vecchi slogan purtroppo sempre più negletti; anzi, oggi ci sono delle concrete proposte che vanno esattamente nella direzione opposta.
Dunque, visto che presto o tardi i nodi vengono al pettine, eccoci confrontati con il precariato, la disoccupazione, l’insicurezza, l’emarginazione, la solitudine, la mancanza di prospettive per le famiglie e i giovani; trovandoci confrontati a una sofferenza sempre più diffusa che genera inesorabilmente miseria e malattia.
Per assurdo una situazione che non è peggiorata, e sta peggiorando, solo nel privato ma si sta pure consumando da tempo uno smantellamento di quei capisaldi “porta bandiera” elvetici quali le Ferrovie, la Posta, i Telefoni; senza dimenticare la Swissair e tutte le altre regie federali, sinonimo di impiego, formazione, qualità, puntualità, sicurezza, ma soprattutto un esempio per come dovrebbe essere un servizio pubblico al servizio dei cittadini e delle cittadine considerati degli “utenti” e non semplicemente trattati come dei clienti unicamente orientati al consumo.
Un conflitto, quello delle Officine, che ha permesso di far emergere tutta la gamma dei valori che sembravano ormai appartenere, desolatamente, al passato. Il risultato più grande è stato quello di aver assistito all’affermazione della giustizia! Finalmente, dei comuni mortali, hanno deciso, nel bene e nel male e con grande dignità, d’essere i soli e legittimi protagonisti del proprio destino.
Dunque, una dimostrazione di come non sia per niente impossibile, uniti e determinati, sovvertire uno stato di cose che sembrava, fino a quel momento, incontrastabile. La solidarietà offerta da tutta la popolazione di una regione ha poi contribuito a garantire quel valore aggiunto da permetterci un risultato pieno, ricco d’ideali e buoni auspici, per far sì che la dignità e la centralità dell’uomo abbiano il sopravvento rispetto a ogni altro interesse d’ordine economico o materiale.
Un’inequivocabile dimostrazione che non dobbiamo aspettarci nulla da nessuno, ma tutto quello a cui aspiriamo che sia cambiato, per il bene nostro e delle future generazioni, va fatto con la consapevolezza che ciò non sarà possibile delegando a terzi (qualsiasi siano) questo ambito compito, ma sarà solo attualizzabile attraverso l’impegno, il coraggio, la costanza e la disponibilità che ognuno di noi saprà personalmente mettere in campo con altrettanta umiltà e dignità.
Ci aspetta dunque un futuro che dobbiamo poter contribuire a plasmare attraverso la nostra attiva partecipazione alle discussioni e alle decisioni. Cosa non scontata, ma che dobbiamo assolutamente acquisire, come lo è stato per le maestranze delle Officine, grazie alla determinazione e la volontà di tutti. Non dobbiamo scordarci del fatto che quello che si è ottenuto (e vorremmo concretizzare in futuro!), lo è stato, ed è possibile solo assumendoci la responsabilità di aver preso decisioni importanti che ci riguardavano, divenendo di fatto i legittimi e soli protagonisti del nostro destino. E’ un fatto di dignità, rispetto e senso di responsabilità!
Riprendiamoci il tempo e gli spazi necessari per discutere e tracciare il nostro futuro. Il sistema ci ha privato di tutto ciò, ci ha rubato soprattutto il tempo. E sì, perché come ci hanno educati “il tempo è denaro”. La dignità, la vita dei nostri figli, la solidarietà ed il benessere globale hanno ben più valore dei quattro soldi che dobbiamo guadagnarci sottomettendoci a delle regole disumane, rinunciando a quello che di più prezioso ci ha fatto dono la vita: la libertà di pensiero e la dignità.
Riappropriamoci del tempo, rallentiamo i ritmi, facciamo in modo d’avere sempre più occasioni d’incontro, per scambiarci opinioni, esperienze di vita ed emozioni.
Si deve gioire delle belle cose, ma bisogna anche rendersi conto che ci sono dei problemi nella nostra società e che spesso si possono risolvere con facilità, basterebbe per l’appunto parlarsi di più.
Bisogna pensare ad una ridistribuzione diversa delle risorse, della ricchezza, del lavoro e rendersi conto che le spese sociali per la salute, l’educazione, i giovani e gli anziani non sono un peso, ma fanno parte della società stessa e devono essere riconosciute come tali.
Dobbiamo rivendicare con forza una società più equa, nel rispetto di tutti, al di là delle differenze religiose, etniche, politiche, sociali, ecc.
Le diversità devono rappresentare una ricchezza e non una fonte di preconcetti.
Tutti assieme possiamo dire no e rivendicare più giustizia e una società diversa, in questo modo sarà possibile piegare le persone inossidabili, che pensano d’essere indistruttibili. Devono trionfare, senza ombra di dubbio, i valori umani e non quelli economici.
Alle Officine di Bellinzona, con lo sciopero del 2008, è successo un po’ quanto descritto.
I lavoratori e le lavoratrici hanno deciso, con dignità e senso di responsabilità, di dire no all’ingiustizia. Hanno deciso di prendersi tra le mani le responsabilità nel determinare il proprio futuro. Non i politici, non i vertici sindacali, ma la forza democratica della collettività! L’energia manifestata in quel frangente ha fatto sì che persone che fino a quel momento credevano, o meglio gli avevano fatto credere, d’essere insignificanti, sono divenuti di fatto i veri protagonisti della propria esistenza, hanno potuto essere ascoltati esprimersi liberamente da un pulpito che era a loro precluso e destinato solo a coloro che credono d’avere la verità assoluta.
La lotta “delle Officine” non deve essere un’eccezione, un fatto isolato, ma dovrebbe essere la via che dovremmo assolutamente seguire tutti. Una società consapevole di non dover delegare nulla a nessuno, ma essere compartecipe del proprio futuro.
Un’esperienza che ci ha inoltre insegnato che non tutto è come appare a prima vista. Quelle che sembravano misure “inevitabili” (la chiusura di fatto delle Officine) si sono rivelate assolutamente non necessarie, e quella che era un’azienda che doveva sparire oggi continua non solo a funzionare, ma anche ad assumere con prospettive di ulteriore sviluppo.
Abbiamo poi imparato, sempre nella stessa occasione, che le cose possono cambiare solo se a prendere in mano la situazione sono le persone toccate dai problemi. Nel nostro caso è stato necessario che i lavoratori dell’Officina si organizzassero, si mobilitassero, dicessero un chiaro, tondo e motivato “No!” alle proposte delle FFS.
Ma il problema delle Officine è diventato anche un problema di tutta una regione, di una società che chiedeva, e chiede, non di smantellare posti di lavoro, ma di crearli! Non di peggiorare le condizioni di lavoro, ma di migliorarle! Non di diminuire i salari, ma di mantenerli e migliorarli! La solidarietà popolare ha poi contribuito al successo attraverso la partecipazione nelle manifestazioni, nel generoso sostegno finanziario che ci ha fatto capire che vi è una parte importante della popolazione della Svizzera Italiana che ha ancora speranza in un futuro dignitoso per chi lavora e che è pronta a battersi per questo.
Termino ringraziando di cuore coloro che mi hanno gentilmente invitato in questo magnifico luogo e soprattutto esprimo un grazie caloroso a tutti voi per la vostra pazienza che avete dimostrato.
Ho accettato volentieri di venire tra di voi, non con la presunzione di fare un grande discorso e dirvi delle verità, ma con l’intenzione piuttosto di aprire un dialogo e portarvi dei semplici pensieri, attraverso i quali ognuno di voi possa nutrire la speranza e maturare la convinzione che la lotta non è mai vana, ma paga sempre e comunque, anche se fosse solo per il fatto che ci permette di sentirci “qualcuno” e non “qualcosa”.
Lasciamo parlare il cuore, la pancia, l’anima e non deleghiamo il nostro futuro a chi è assuefatto alle logiche economiche e di mercato, a coloro che hanno la mente e il cuore gelidi, insensibili alle miserie che creano con tanta e sempre più diffusa sofferenza.
Ci è permesso sognare: ed è proprio vero che se siamo soli a sognare non rimane solo che un sogno; se però siamo in molti a sognare ecco allora che potremo cambiare persino la realtà!
Giù le mani dal nostro futuro e dalla nostra dignità.
Buon Compleanno alla cara Elvezia e buona continuazione di serata a tutti voi.
Grazie!!! Gianni Frizzo